Radiohead

Il Rock a 360 gradi dei Radiohead

La critica inglese, a forza di dare giudizi enfatici sui musicisti della loro nazione, ha finito col diventare inattendibile, con le conseguenze che anche quando ci azzecca non si sa mai se credergli o meno.

Per quanto riguarda i Radiohead, a leggere le recensioni d’oltremanica sembrerebbe che il gruppo possegga una bacchetta magica che quando tocca uno strumento tira fuori qualcosa di unico ed inimitabile; forse nessun gruppo sin dai tempi dei Police è mai stato spinto così in alto come loro. Un’analisi meno emotiva, però, mi fa dire che certe cose buone il gruppo le ha fatte, ed a livello innovativo sono molto bravi, ma non stiamo parlando della band migliore della storia, né ci avviciniamo; ci troviamo, piuttosto, davanti a dei leader assoluti del rock moderno.

La carriera del gruppo, comunque, non è stata sempre in discesa: i primi due album si fanno notare prevalentemente per i singoli (in particolare “Just”). Per quanto riguarda la musica proposta, ci troviamo davanti ad un britpop fatto in maniera piuttosto gradevole all’ascolto; di immortale ed estremamente innovativo non ci trovo niente, ma, soprattutto il secondo “The Bends” è comunque un disco che fa trasparire le ottime potenzialità della band.

Nel 1997 arriva la svolta: “Ok Computer”; effettivamente l’opera prodotta del gruppo è semplicemente geniale: lo stile introverso e cupo con atmosfere decadenti diventeranno il vero marchio di fabbrica della band. Il genere proposto lo si può considerare come un inizio di quell’indie pop che poi verrà ripreso dai Coldplay, ma in questo caso lo sviluppo musicale è decisamente migliore. Davanti a tanta genialità, la reazione della stampa inglese non poté che essere fuori dalle righe: molti lo ritengono il miglior disco della storia dopo “Sgt. Peppers…” dei Beatles; inutile dire che si tratta di un’esagerazione, ma indubbiamente ci troviamo davanti ad un gran bell’album.

Nel seguente “Kid A” il gruppo, forte del successo ottenuto grazie alla sua vena sperimentale, decise di osare ancora di più: l’elettronica la fece da padrone e si mischiò perfettamente con l’indie-britpop della band: è come se i Kraftwerk ed i The Kinks fondessero i propri suoni. Il risultato è estremamente buono, ma anche estremamente avanguardistico: non è un lavoro da grandi platee, ma assolutamente un disco da apprezzare.

Il fatto che il gruppo fosse soddisfatto dal proprio lavoro lo dimostra il successivo “Amnesiac”, che presenta ancora più elettronica del precedente, tanto che è difficile etichettarlo come un album rock. Si tratta, comunque, di un altro gran bel disco.

Tempo per un altro lavoro da studio e nel 2007 il gruppo si ripresenta con l’acclamatissimo “In Rainbows”, album che ha lanciato una innovazione commerciale: il disco fu volontariamente messo su internet e commercializzato ad un prezzo di acquisto scelto dall’ascoltatore: il successo fu davvero immenso.

A forza di essere ripetitivo, anche in questo caso la critica britannica lo accolse come una delle massime vette artistiche dell’intera storia della musica. Effettivamente lo vedo come un enorme passo indietro rispetto ai precedenti; l’elettronica e la sperimentazione vengono messe in secondo piano a favore di un sound che cerca di imitare (male) i Coldplay.

Il tempo e le potenzialità per rifarsi in futuro i Radiohead lo hanno, eccome; spero vivamente che torneranno a far parlare di loro più per i meriti musicali che per quelli commerciali.

Foto by Daniele Dalledonne [CC BY-SA 2.0], via Wikimedia Commons