Se la musica rock può avere la presunzione di essere considerata come una forma di arte, buona parte del merito va al Signor Robert Allen Zimmermann, alias Bob Dylan.
L’espressività che il cantautore americano è riuscito a dare alla sua musica non ha simili, nemmeno i Beatles. I suoi successi diventarono dei simboli della società americana, ed entrarono nel cuore delle persone, che ci si rispecchiava alla perfezione.
Già il rock’n roll di Elvis Presley aveva iniziato a dare alla musica una dimensione più umana, ma la figura del cantante era ancora vista come una entità superiore; Bob Dylan fa le veci dell’uomo della strada e le sue canzoni sono come i manifesti dei pensieri dell’americano comune.
Fatta tutta questa sviolinata, stride un po’ dire che il suo esordio, “Bob Dylan”, non si può prendere certo come esempio di album ben riuscito: una pessima registrazione ed uno stile ancora da raffinare rendono questo lavoro piuttosto trascurabile.
Per entrare nel mito, il cantautore deve aspettare il suo secondo lavoro: “The Freewheelin’ Bob Dylan” del 1963. Questo è il primo vero grande successo dell’artista, ed è un album destinato a rimanere nella storia della musica. Il genere proposto è un semplicissimo folk, che riprende decisamente dalla tradizione della classe operaia americana; di complicato sotto il punto di vista musicale non c’è assolutamente niente, una chitarra ed un’armonica sono già abbastanza espressive; di più, se Bob Dylan avesse messo qualche virtuosismo musicale, l’album avrebbe perso di quel fascino e quell’umanità che emana. Il pezzo forte del disco è il singolo “Blowin’ in the Wind”, che diventerà un vero e proprio simbolo di pace.
Nel 1965 si inizia, però, ad intravedere un cambiamento di stile, o meglio una evoluzione: “Bringing it All Back Home” è il quinto album da studio, e rappresenta l’inizio di un rock più complesso, che verrà poi seguito da Beatles, Beach Boys, Rolling Stones e compagnia cantante, e che qualche anno dopo sfocerà definitivamente nel progressive. Di folk classico, comunque, c’è ancora molto, ma quello che viene ad emergere è che l’espressività, fino a quel momento principalmente dovuta ai testi, inizia a prendere forma attraverso la chitarra; l’unica eccezione sta nel super singolo “Mr.Tambourine”, ancora legato al vecchio Dylan, ma tutto il resto del disco assume una musicalità mai avuta in precedenza. Lo stesso risultato lo si ha con il seguente “Highway 61 Revisited”, altro lavoro che rimarrà scolpito a caratteri cubitali nella storia della musica.
Arriviamo così al 1966. In questo periodo la critica musicale aveva iniziato a chiedersi seriamente se il rock potesse essere un fenomeno, oltre che sociale, anche artistico. I gruppi più in auge iniziarono a tirar fuori quanto di meglio potevano: oltre che limitarsi a produrre singoli di successo, si impegnarono a produrre album che nella loro interezza potessero essere opere d’arte. A tal proposito Dylan sfornò quella che a mio parere è la sua opera meglio riuscita: “Blonde on Blonde” si distingue per l’alternanza di momenti allegri, scherzosi, a tratti fanfareschi, con suoni più tradizionali, tipici dei suoi lavori precedenti. Come già anticipato, tutto l’album ha una forma artistica del tutto unica e particolare, non c’è un singolo che spicca.
Negli anni successivi il cantautore rallenta la sua vena compositiva e si sposta decisamente su un rock più riflessivo e intimista; tra gli album di questo periodo merita sicuramente una citazione “Blood on the Tracks”, che contiene un altro suo super classico: il singolo “Tangled up in Bleu”. Nello stesso anno esce “Desire”, un’altra pietra miliare della sua discografia; musicalmente riprende moltissimo le tematiche di “Blonde on Blonde”, con la differenza che pur essendo più maturo, è comunque meno poetico; la canzone “Hurricane” è un altro successo immortale.
Andando ancora avanti con gli anni, nella sua sconfinata discografia c’è spazio per alcuni album che denotano uno spostamento verso un rock più incisivo ed a tratti graffiante: l’ottimo “Street Legal” del 1978 ne è un perfetto esempio.
Dagli anni ’80 in poi Dylan continuerà a produrre tonnellate e tonnellate di dischi, restando al passo coi tempi per le sonorità, ma mantenendo sempre una sua identità stilistica.
Adesso che abbiamo detto tutto, posso confessarvi che musicalmente non l’ho mai ascoltato tanto, né probabilmente inizierò, ma questo è dovuto solo ai gusti personali: quello che sono in grado di riconoscere, e sfido chiunque a contraddirmi. è che con la sua poeticità è riuscito a dare un’influenza alla storia del rock talmente grande che, almeno negli Stati Uniti non ha paragoni. Sarebbe pazzesco non omaggiarlo.